Uno sguardo alla storia: i nuovi “Giardini dell’eternità”

Il 29 marzo 1800 la Commissione di Sanità della Repubblica di Genova cominciò a prendere in esame la spinosa problematica delle sepolture.
Erano stati anni duri per la Superba, al centro degli scontri tra le truppe napoleoniche da una parte e quelle inglesi e austriache dall’altra. La fame e le malattie avevano causato la morte di molti cittadini, sepolti in fosse comuni ai margini della città o all’interno delle chiese. Nel 1801 la stessa Commissione inviò all’Istituto Nazionale di Parigi un rapporto sull’argomento, nel quale si metteva in evidenza l’esigenza di “rimettere sul suolo della Repubblica il lodevole costume dei cimiteri e camposanti“.

Il dibattito sulle sepolture esplose, come è noto, soprattutto con l’emanazione dell’Editto di Saint-Cloud (12 giugno 1804) che vietava le sepolture all’interno di edifici religiosi e delle mura cittadine: i cimiteri avrebbero dovuto essere posti all’aperto, in luoghi soleggiati. L’Editto stabiliva che le tombe dovevano essere anonime, tutte uguali, per evitare discriminazioni. Solo le sepolture di cittadini illustri, previo il consenso di una commissione di magistrati, avrebbero potuto presentare un epitaffio. Le visite ai defunti, infine erano proibite.

Come aveva scritto il cittadino genovese Mongiardino nel rapporto inviato in Francia tre anni prima dell’editto napoleonico: “La porta del cimitero non si aprirà giammai, che per l’occasione della sepoltura dei morti o per ordine delle autorità costituite. La chiave resterà presso un custode della Municipalità“.

Genova fu annessa alla Francia nel giugno 1805 e Napoleone venne in visita con la moglie Giuseppina a fine mese. L’editto di Saint-Cloud divenne legge anche qui. Nel 1806 l’architetto Tagliafichi presentò il progetto di un cimitero in zona foce. L’era dei nuovi “giardini dell’eternità” era iniziata.

Fonte: La città silenziosa, il cimitero monumentale di Staglieno, Anselmo Orsi, De Ferrari Editore

Il cimitero di Staglieno

Il progetto presentato dall’Architetto Tagliafichi nel 1806 per la costruzione di un cimitero in zona Foce non fu mai realizzato e le polemiche circa le condizioni dei cimiteri a Genova proseguirono senza arrivare a conclusioni concrete. Nel frattempo, l’Impero di Napoleone cadde e il Congresso di Vienna del 1815 decretò l’annessione di Genova al Regno di Sardegna. Le Regie Patenti del 26 maggio 1832 ripresero le leggi emanate dall’Editto di Saint-Cloud, sancendo la cessazione delle sepolture nelle chiese e promuovendo la realizzazione di nuovi cimiteri all’aria aperta e in luoghi sufficientemente lontani dalle zone abitate.

Cimitero di Staglieno
Il Cimitero di Staglieno (fonte: Web)

Nel 1833, l’architetto Carlo Barabino presentò un progetto da realizzarsi nella zona di S. Agata o nei pressi della chiesa di San Francesco da Paola. Ma il Consiglio Generale non riuscì a reperire un terreno sufficientemente ampio e fu costretto a chiedere una deroga alle Regie Patenti e a volgere lo sguardo al di là delle mura, fino a che si individuò un ampio terreno collinare sulla sponda destra del torrente Bisagno. Nel 1835 il Senato diede il proprio consenso e, nonostante le proteste degli abitanti di Staglieno, i lavori per la realizzazione di quello che Hernest Hemingway definì “Una delle meraviglie del mondo” furono avviati.

L’architetto Barabino morì senza poter portare a termine l’opera, colpito dall’epidemia di colera che in quello stesso anno flagellò Genova. Il suo allievo Giovanni Battista Resasco prese il suo posto e i lavori per l’edificazione del Cimitero Monumentale di Staglieno, che tutto il mondo ci invidia, furono avviati l’8 aprile 1846.

Il dibattito sui sepolcri

L’Editto di Saint-Cloud del 1804 (esteso in Italia nel 1806) sanciva una serie di norme relative alla sepoltura frutto del materialismo tipico dell’Illuminismo che non prevedeva un “al di là” divino. La cessazione della vita era considerata definitiva, inutile quindi ogni forma di devozione legata alle sepolture intese come luogo di memoria. I defunti si potevano ricordare nel privato della propria abitazione, senza la necessità di recarsi al cimitero. Inoltre, lo spirito egualitario tipico del pensiero giacobino sanciva che non si dovessero fare distinzioni sociali neanche dopo la morte: tutte le tombe dovevano essere uguali, a parte alcune eccezioni valutate da una apposita commissione.

La durezza di queste norme che, di fatto, sancivano la definitiva separazione dai cari defunti, suscitò un grande dibattito che vide protagonista in Italia il poeta Ugo Foscolo. Nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi, Foscolo avviò la famosa disputa con Ippolito Pindemonte, paladino dei valori cristiani.

Ugo Foscolo
Ugo Foscolo (fonte:Web)

Più tardi, dopo aver meglio riflettuto sulla questione, nacque nel poeta l’ispirazione per il carme Dei Sepolcri che l’autore indirizzò allo stesso Pindemonte: “per fare ammenda del mio sdegno un po’ troppo politico“. Senza rinnegare il suo pensiero materialista, Foscolo ammetteva ora che le tombe erano una consolazione necessaria a sollevare il dolore di chi aveva perso una persona cara.

Con quest’opera, Foscolo si ispirava anche alla contemporanea letteratura sepolcrale inglese, tra cui si ricordano le Notti di Edward Young e la celebre Elegia scritta in un cimitero di campagna di Thomas Gray.

Il cimitero di Murta

Anche i borghi e i paesi dell’entroterra dovettero rispettare le norme imposte dalle Regie Patenti del 26 maggio 1832, cessando di seppellire i defunti nelle chiese o in zone troppo vicine alle abitazioni.

Negli stessi anni in cui a Genova si cercava la giusta località per realizzare il nuovo campo santo cittadino, a Murta l’Ingegnere Tagliafico individuò la zona detta Fontanasse per la realizzazione del cimitero di paese. Il progetto iniziale fu, però, scartato a causa della presenza in quell’area di molte sorgenti d’acqua che avrebbero potuto essere contaminate dalle sepolture. Dopo ulteriori sopralluoghi, si decise di realizzare l’opera “all’estremo lembo della villa parrocchiale” dove oggi si trova, incastonato come un gioiello sulla creuza Via Asilo Infantile di Murta.

Responsabili dei lavori furono l’Architetto Orsolino e l’impresario Maestro Antonio Barabino.

Il Cimitero di Murta
Il Cimitero di Murta

L’area cimiteriale fu delimitata da mura e all’interno furono, con il tempo, realizzati una cappella mortuaria e un ossario.

Il cimitero di Murta fu benedetto il 4 settembre 1835 dal Prevosto Marchese, ma già ad agosto era stata sepolta la prima defunta, la villeggiante Chiara Rossi di 48 anni, vittima della terribile epidemia di colera che aveva causato la morte, lo stesso anno, di moltissimi genovesi, tra i quali l’Architetto Carlo Barabino a cui erano stati affidati i lavori per la realizzazione del grande cimitero di Genova. Secondo lo storico Luigi Persoglio, ogni anno in media venivano sepolte 35 persone e nel 1873 si potevano già contare 1332 sepolture.

Le ultime tombe risalgono agli anni ’90 e oggi il campo santo è considerato “radiato” da quelli in attività.

Tra la data delle ultime sepolture e il momento del recupero, iniziato a gennaio 2019, il cimitero ha visto un lungo periodo di abbandono durante il quale la vegetazione lasciata libera lo ha inghiottito. Ci sono stati episodi di profanazione da parte di vandali che, pur avendo rovinato irreparabilmente molte tombe, non hanno potuto cancellare il fascino del nostro piccolo “giardino dell’eternità”.

Fonte: Memorie della Parrocchia di Murta in Polcevera, Don Luigi Persoglio, 1873, Tipografie dello Stendardo Cattolico, Genova